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  Una riforma costituzionale sbagliata

Data di pubblicazione: Mercoledì, 23 Novembre 2016

TRAGUARDI SOCIALI / n.81 Novembre / Dicembre 2016 :: Una riforma costituzionale sbagliata

Il NO per rafforzare una democrazia rappresentativa, solida e partecipata, in grado di dare un futuro all’Italia

La sollecitazione propagandistica impressa, con dovizia di mezzi e apparizioni televisive, dal premier Renzi, alla campagna referendaria sulle riforme costituzionali, dimostra come, nonostante le affermazioni contrarie, il risultato del 4 dicembre, più che rispecchiare un interesse del Paese appare ormai caratterizzato dalla necessità di una conferma per l’azione del Governo.
Invece di un dibattito chiarificatore sui contenuti della riforma, questa esigenza di parte sta comportando uno scontro a tutto campo che investe la storia politica recente, governi passati e protagonisti di quegli anni. Come è stato fatto rilevare, gli argomenti adoperati dal premier, vogliono far apparire il suo “avvento” come il passaggio dalla “politica inconcludente” alla “svolta istituzionale”, da cui si aprirebbe la prospettiva di un futuro di rinnovamento per l’Italia.
“Cambiare l’Italia!”, “vuoi meno politici?”, sono tra gli slogan della campagna referendaria per il Sì. Le nuove norme costituzionali assumerebbero, quindi, un’importanza decisiva, dando al Paese e ai cittadini un sistema democratico tale da favorirne lo sviluppo. Senza entrare nei dettagli, occorre verificare se tale assunto sia credibile, andando ad esaminare il senso più profondo dei cambiamenti introdotti.
L’elemento più evidente è che, con la riforma proposta, cambia il modello di governo.
Quando il premier afferma che non sono aumentate le competenze dell’Esecutivo e del Capo del Governo, nasconde l’elemento decisivo e cioè che, riducendo il ruolo del Parlamento - sia per l’introduzione di un Senato dalle competenze pasticciate senza il voto di fiducia, sia per l’effetto della legge elettorale che è imperniata sul “capo” del partito vincente - si esalta il peso politico e istituzionale dell’Esecutivo. Si determina, quindi, nella Costituzione, un modello che inverte a favore del Governo un equilibrio del sistema politico che, nel 1948, si volle invece imperniato sulle assemblee rappresentative.
Inoltre, le nuove norme, nel caso di un voto confermativo, imporrebbero una netta riduzione della rappresentanza e della partecipazione politica in quella che era stata definita, sulla base del principio della sovranità popolare, una “democrazia partecipativa”.
Si introdurrebbero, infatti, a livello costituzionale, quegli elementi che la Carta del ’48 non aveva preso in considerazione, e cioè le elezioni di secondo grado che già hanno mostrato tutta la loro distanza rispetto alla partecipazione degli elettori nelle designazioni degli organi delle città metropolitane; si cancellerebbe - invece di migliorare - quel poco di espressione istituzionale dei corpi intermedi contenuta nel CNEL; si verticalizzerebbe il potere riducendo il ruolo delle Regioni; si inserirebbe un Senato che, lungi dall’essere un organismo federale, si presenta solo come espressione di indicazioni e interessi partitici privi di supporto elettorale.
Il nuovo “bicameralismo imperfetto”, approvato con ampie dosi di autoreferenzialità, che verrebbe alla luce dal “combinato disposto” delle norme costituzionali con quelle elettorali, è destinato, nell’escludere lo spazio alle coalizioni, a spegnere ancora di più il confronto politico parlamentare tra i partiti, anche in un sistema di alternanza, riducendo il tutto ad uno scontro per la supremazia elettorale di una forza politica, che determinerebbe premier e componenti della Camera. Sarebbe una “camicia di Nesso”, inadatta ad un Paese plurale come l’Italia e ai suoi problemi. Emergerebbe, infatti, un Paese sempre più diviso, come lo sarà, comunque, nel voto e dopo il 4 dicembre.
Balza, inoltre, l’evidenza dell’enorme distanza che questo sistema presenterà rispetto alla complessità e durezza delle “sfide” che l’Italia ha di fronte. Sulla base del fatto che un partito minoritario potrà “prendere tutti” grazie ad un meccanismo che gli procurerà la maggioranza dei seggi alla Camera dei Deputati, qualcuno ha, giustamente, affermato che non si potranno governare “grandi problemi con piccoli numeri”.
Pensiamo non solo alle emergenze, alla complessità del quadro internazionale, alle politiche per uscire dalla stagnazione, ma anche alle tutele di fasce sociali sempre più esposte alla povertà.
Possiamo aggiungere che la storia del nostro Paese ha dimostrato che, alle grandi sfide del dopoguerra, corrispondevano, innanzitutto, uomini capaci e responsabili, oltre che un sistema costituzionale che, costruendo la rappresentanza sul consenso maggioritario e nel confronto parlamentare, garantivano la governabilità e consentivano la partecipazione anche a chi aveva un ruolo di opposizione.
Oggi tutto sembra corrispondere ad un’inversione della prospettiva. A fronte di un presente difficile e di un futuro incerto corrisponderebbe, se vincesse il Sì, l’utopia di governare senza consenso con un sistema politico che sbarrerà la strada al confronto costruttivo ed alla partecipazione e che, ineluttabilmente, porterà a governare “piccoli uomini”. Il No intende impedire quest’evoluzione negativa - cioè un cambiamento in peggio - per ripartire, con più consapevolezza, dalla necessità di rafforzare, con una più ampia adesione, una democrazia rappresentativa solida e partecipata e non di vertice, in grado di dare un futuro all’Italia.

Pietro Giubilo
Vice Presidente Fondazione Italiana Europa Popolare

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