Il prossimo 8 e 9 di giugno i cittadini italiani saranno chiamati a esprimersi sui cinque referendum abrogativi relativi a lavoro, appalti e cittadinanza italiana agli extracomunitari. Si tratta di referendum abrogativi che mirano quindi con il raggiungimento del quorum e la vittoria dei sì a cancellare o modificare alcune norme che secondo i promotori, restringono le tutele dei lavoratori in caso di licenziamento, contratti a termine, infortunio sul lavoro e limitano la naturalizzazione degli stranieri extracomunitari residenti da tempo in Italia. Innanzitutto ci preme ribadire che esercitare il proprio diritto di voto è un “dovere civico” – come recita l’art. 48 della Costituzione. Nel caso specifico, poi, di consultazioni referendarie che propongono l’abolizione di alcune norme vigenti, la partecipazione al voto o l’astensione diventa una scelta ancor più consapevole e pienamente legittima. Facoltà, pertanto, che il cittadino può liberamente attuare, rimanendo libera la determinazione di non partecipare alle consultazioni elettorali. Qualsiasi diversa interpretazione di questo principio non può che trovare le proprie basi in una visione puramente ideologica e di parte, in netto contrasto con i principi cardine della democrazia. La questione, pertanto, è un’altra e di palese evidenza: il referendum ha assunto i connotati di uno scontro tra opposizione e maggioranza di governo. Un’opposizione disposta a sacrificare sull’altare del consenso le reali esigenze del mondo del lavoro, chiedendo il ripristino di norme, da essa stessa a suo tempo contrastate, e che risultano ormai superate e non più al passo con i tempi. Coloro che invitano ad andare a votare lo fanno perché ritengono che chi ci andrà voterà SI ai cinque quesiti referendari; coloro che invitano all’astensione lo fanno per una scelta strategica che mira a non consentire il raggiungimento del quorum, e quindi invalidare i referendum, sfruttando una serie di condizioni oggettive. Lo scarso interesse dei cittadini verso i quesiti referendari, la compatta contraria posizione governativa e la conseguente limitata attenzione da parte di TV e giornali, la tendenza all’assenteismo che ha caratterizzato le ultime tornate elettorali, lo stesso strumento referendario che negli ultimi decenni ha visto scemare sempre di più l’interesse da parte della popolazione (solo 4 sugli ultimi 29 referendum hanno raggiunto il quorum) delineano con certezza quasi matematica che non andrà a votare oltre la metà degli aventi diritto.
Il MCL tiene però a dire che dare l’indicazione all’astensione, non vuole essere il modo, facile, per mitigare le proprie intenzioni di voto ma che è solo lo strumento tecnico per rafforzare la propria posizione. Per questo preferiamo metterci la faccia ed assumerci la responsabilità delle nostre scelte, come sempre nella storia del nostro Movimento, e con chiarezza, trasparenza e coraggio diciamo che:
ci asteniamo
per dire
NO
a tutti i cinque
quesiti
referendari
E lo diciamo proprio perché riteniamo che non può essere il ricorso allo strumento referendario, il modo per affrontare questioni che richiedono confronto, dialettica e che debbono essere inserite all’interno di leggi articolate. Le questioni che riguardano la criticità del mondo del lavoro attuale (salari bassi, lavoro povero, formazione continua, rafforzamento delle competenze, prima di tutte), sono ben più cogenti rispetto a quelle di dieci anni fa quando fu introdotto il Jobs Act dal Governo Renzi e che costituiscono oggetto di tre dei cinque referendum. Il tema della sicurezza sui luoghi del lavoro non può essere circoscritto alla responsabilità solidale del committente nei confronti delle ditte appaltatrici o subappaltatrici per gli infortuni dei loro lavoratori, come nel quesito referendario, ma deve essere all’interno di ampio sistema di misure che vanno dalle maggiori risorse economiche da stanziare alla contrattazione di qualità, dall’aumento dei soggetti preposti al controllo, dall’adozione di modelli gestionali all’innovazione ed alla formazione ed anche alla riforma delle norme sugli appalti. Tra l’altro tutte questioni che sono state recentemente oggetto di confronto positivo del Governo con le parti sociali.
Altrettanto diremo NO all’abbassamento del periodo di residenza in Italia da dieci a cinque anni per ottenere la cittadinanza italiana da parte delle persone maggiorenni nate in un paese fuori dall’UE perché pensiamo che essere cittadini italiani vuol dire avere senso di appartenenza ai valori, alla storia, alla cultura del nostro paese; oggi la cittadinanza è un patto politico che si costruisce attraverso la condivisione di valori comuni e l’impegno verso la comunità, tenendo in conto molti fattori, tra i quali sicuramente importanti sono quelli della sicurezza e dell’integrazione che riteniamo possano essere maggiormente garantiti dal periodo di dieci anni previsto dalla normativa vigente.
Richiedere di abrogare cinque norme su argomenti così vari e distanti quali le tre riguardanti il jobs act, la sicurezza sul lavoro e la cittadinanza, non ha come obiettivo quello di costruire un quadro normativo per migliorare le condizioni dei lavoratori o dei cittadini verso i quali si rivolgono, ma solo quello di utilizzare i referendum come spot pubblicitario oppure, peggio, per “regolare” rapporti politici all’interno delle stesse aree politiche che prima hanno introdotto le medesime leggi che ora disconoscono. Il ricorso sistci asematico a referendum rischia concretamente di svuotare di credibilità e di efficacia questo importante strumento di democrazia diretta. Il dibattito politico va riportato all’interno del Parlamento.
La Presidenza Generale MCL