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MCL. Settimana Sociale. Bologna 2004

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MCL. Settimana Sociale. Bologna 2004

26/09/2005

MCL. Settimana Sociale. Bologna 2004

Democrazia: Risposte in "rete" per una sfida globale

DEMOCRAZIA: RISPOSTE IN “RETE” PER UNA SFIDA GLOBALE


    All’ultima Settimana sociale, a Napoli nel 1999, era emersa con forza la rilevanza, la vivacità e la complessità della “società civile”.       Abbiamo rilevato però, negli anni seguenti, anche una sorta di schizofrenia tra questa vitalità e una difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti da parte delle realtà ordinamentali, cioè di quelle istanze che, ad ogni livello, dovrebbero avere il compito di aiutare a regolare i rapporti tra i vari attori.      Negli ultimi tempi si sono ulteriormente accentuate ed evidenziate una divaricazione ed una inadeguatezza nella capacità di “armonizzazione” dal momento che con il crescere delle complessità aumentano i motivi e i fattori di diversità.    E questo accade nell’epoca della globalizzazione e dell’interdipendenza.

    Tutto ciò rappresenta una grande sfida per la democrazia.   Di fronte a dinamismi sempre più complessi sperimentiamo ad ogni livello l’attardata (se non mancata) risposta degli strumenti di governo, di controllo, di orientamento.       Pensiamo alle conflittualità istituzionali all’interno del Paese ma anche alle incertezze europee ed alle fragilità internazionali.    Nuovi scenari reclamano con urgenza nuovi poteri, nuove forme che garantiscano alla convivenza spazi certi e inattaccabili di partecipazione e una difesa effettiva da prevaricazioni, confusioni, arbitri.

    Di questi argomenti, nel percorso verso la 44/a Settimana sociale, c’è stata una prima esplorazione attraverso i quattro convegni preparatori.    Alcune indicazioni importanti sono già emerse.       Guardando innanzitutto all’Italia risulta condivisa la necessità di elaborare nuove regole istituzionali che favoriscano una “democrazia della partecipazione” che ridia spessore ad un ethos condiviso.      

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    Il bipolarismo non è risultato un sistema vincente in particolare per come è stato interpretato con tentazioni di sfuggire alle regole comuni o con prevaricazioni di “maggioranza”.    Il cattivo esempio l’aveva già dato il centro-sinistra approvando la riforma del titolo V della Costituzione a maggioranza e per soli quattro voti.    Ma attenzione: l’errore degli uni non giustifica un uguale comportamento degli altri né due errori si elidono a vicenda, semplicemente si sommano portando a raddoppiare gli effetti e le conseguenze negative.      

    La società, nel suo complesso, non è suddita delle istituzioni ed è per questo che è obbligatorio il coinvolgimento di tutti gli attori per definire le regole e rendere praticabile la loro applicazione.      

La “democrazia della partecipazione” va garantita e promossa non solo nelle formazioni politiche ma anche e soprattutto in campo economico, culturale e sociale soprattutto perché, è bene ricordarlo, le rappresentanze politico-partitiche non hanno certo la capacità di rappresentare l’intera società.    Il principio di sussidiarietà, è bene ricordarlo, è alla base di una autentica democrazia.       Istanze analoghe, però, provengono anche dal mondo della scienza e della tecnologia.      Dobbiamo tornare a chiederci: come si coniuga la pretesa di autolegittimazione della scienza con la sua dimensione pubblica e la sua funzione sociale?   La libertà del sapere e della ricerca non ha forse bisogno di un comportamento e di uno statuto etico dello scienziato e del ricercatore?

    Quanto all’economia non è possibile descrivere in bianco o nero massimalisticamente, la natura e gli esiti della globalizzazione.      Ma a nessuno sfugge come la logica del mercato non sia in grado di promuovere e tutelare valori essenziali e come le istituzioni economico-finanziarie (con toni più accentuati in quelle esclusivamente finanziarie) siano portate a prevaricare spesso sui momenti di gestione democratica, ai diversi livelli.   Non crediamo che ci possa essere economia senza etica a meno di volere lo sfruttamento e di perseguire il rafforzamento dei forti a danno dei deboli: come abbiamo sperimentato negli ultimi tempi il puro mercato non basta, l’etica diventa elemento di discernimento che chiama in causa la responsabilità della politica.   

    Anche l’orizzonte della comunità internazionale sta assumendo rapidamente nuove configurazioni: è sufficiente oggi allargare gli “spazi normativi” o sarà necessario un salto di qualità negli ordinamenti internazionali?      Il faticoso cammino dell’Europa che disconosce le sue origini unito alla debolezza e alle paure dell’Onu sono esempi quanto mai eloquenti dell’ampiezza del problema.   

LA PRESENZA


Stare “dentro la storia” è costitutivo della stessa esperienza di fede e la Chiesa italiana ne ha fatto un compito qualificante dei suoi orientamenti.      

Del resto, come più volte dimostrato, il “mondo cattolico” ha dentro di sé una grande cultura istituzionale che, purtroppo, non riscontriamo in diverse altre realtà.      Con le Settimane sociali si è dunque raccolta una eredità preziosa, ma dall’altro lato ci si è fatto carico in maniera progettuale di una novità di tempi e di contesti sociali.

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    La complessa trasformazione in atto è spesso inavvertita, qualche volta occultata, perfino manipolata.       Questo spinge ancora di più i cattolici a camminare nella società per svolgere in essa un discernimento e una inculturazione della fede fondati sulla centralità della persona umana, sulla dimensione etica dei processi sociali e sul profilo alto della democrazia.

    Ci auguriamo che la Settimana di Bologna possa offrire un riferimento significativo dei e per i cattolici italiani e sollecitare rinnovate iniziative per un servizio qualificato e coerente alla vita delle comunità ai vari livelli, dalla più piccola realtà locale fino al mondo intero.

    Per MCL sarebbe riduttivo parlare di democrazia se, all’interno di un’ecclesialità, non si facesse riferimento al tema della corresponsabilità come espressione della vocazione alla missionarietà di laici.            

    Per questo, in forza di un dovere che sentiamo e partendo dai nostri campi di impegno, abbiamo concentrato la nostra attenzione principalmente su due (dei quattro) ambiti connessi con il tema della democrazia: l’economia e le istituzioni (ad ogni livello) verificando come una stagione di riforme possa contribuire a salvaguardare e promuovere il bene prezioso della democrazia superandone la semplice dimensione formale.    Due argomenti che da sempre sono stati particolarmente presenti nel programma di MCL.

LE RIFORME


    MCL ha sempre prestato una grande attenzione alle istituzioni quali “strumenti” che rendono possibile una democrazia compiuta e favoriscono una più ampia partecipazione a tutti i livelli.    E’ per questo che la loro riforma ci sta a cuore perché da esse dipende il modello di Paese che si andrà a costruire.      Questi argomenti non riescono ad appassionare il grande pubblico, eppure qui è in gioco l’idea stessa di Italia, di paese, di società, di comunità.    In particolare è in discussione il principio di un paese ancora unitario, costruito intorno a forme di convivenza condivise e valorizzate.   

    Un’Italia collocata in un’Europa che cresce ma che rischia di crescere male e di andare incontro a passi falsi.       In questo quadro di riferimento pensiamo che le riforme vadano fatte evitando logiche di “maggioranza” anche per evitare il lacerante contenzioso che ha fatto seguito alla pasticciata riforma della scorsa legislatura.    Non è pensabile che pezzi di paese siano esclusi dai processi di riforma, così come non è immaginabile che ogni maggioranza si faccia la propria riforma ad ogni legislatura.

    Per Mcl su qualche punto bisogna fermarsi a pensare anche per quanto approvato al Senato il 25 marzo scorso.   L’attribuzione di competenze esclusive alle regioni in materia di sanità, istruzione, sicurezza, potrebbe mettere a rischio le garanzie di tutti i cittadini circa le prestazioni sociali e assistenziali.   
    Su questi temi occorre rimettere mano e orientare le scelte verso un modello di federalismo equilibrato, solidale e cooperativo.   Lo si potrebbe definire un federalismo “sociale” che preceda e determini il senso di quello istituzionale, che sia giustificato esclusivamente dal miglioramento complessivo della qualità della vita delle persone, che non risponda soltanto a esigenze di una minoranza e che, tenendo fermo il principio dell’unità nazionale, affermi una sussidiarietà orizzontale e non solo verticale evitando che tutto si risolva in una semplice (e in questo caso dannosa e costosa) “devoluzione” di poteri.   
    Se da una parte sembra esserci la tendenza a “spezzettare” in modo disordinato il sistema paese (almeno per ciò che riguarda alcuni settori primari), dall’altra c’è una brutta impressione che va corretta: quella che il disegno di riforma istituzionale punti a potenziare il ruolo del capo dell’esecutivo, mettendo nelle sue mani praticamente l’intero indirizzo politico nazionale, indebolendo sia i centri di potere politico diversi dal governo (in particolare il parlamento), sia i “contrappesi” in senso stretto, di carattere neutrale (presidente della Repubblica, Corte costituzionale).      Che si debba trovare un punto di equilibrio tra governabilità e pluralismo è del tutto ovvio; ma questa riforma assumerebbe una posizione radicale: il pluralismo della vita sociale e politica non può essere regolato da una iniezione di verticismo così robusta.

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L’EUROPA


    Le vicende italiane si inseriscono in un contesto europeo aperto a troppe incertezze.      Dopo il deludente accordo per la nuova carta costituzionale, secondo il Mcl sarebbe necessario un referendum che restituisca ai paesi, ma soprattutto ai popoli, l’idea e la voglia d’Europa che abbiamo visto molto attenuate dall’apatia che in molti stati ha accompagnato il voto europeo con una disaffezione che ha colpito particolarmente quei nuovi paesi membri, come Polonia e Slovacchia, di più radicata tradizione cristiana.       La consolidata tradizione “europeista” del MCL che si concretizza nella nostra presenza in diversi stati membri e in molti stati candidati nonchè in organismi comunitari non può far confondere tale posizione con quella di chi, orientato da un forte “euroscetticismo”, intende utilizzare lo strumento referendario per affossare la possibilità di una grande Europa, politicamente consistente a livello mondiale.

    L’Europa rappresenta una grande speranza ed ha una forte prospettiva: non va penalizzata e costretta in meschini quanto infruttuosi calcoli di parte, anzi questa è l’occasione per una “piattaforma comune”   per il suo rilancio, piattaforma che nel nostro paese non si è mai costruita in passato.       Si potrebbe iniziare con il sostenere l’idea (da tempo avanzata dal nostro Movimento) di un seggio comune dell’UE all’ONU che darebbe sostanza e prospettiva ad un’Europa politicamente forte e unita.

LA SOCIETA’ CIVILE   


    MCL riconferma la sua consolidata propensione ad un quadro di democrazia pluralista che, riconoscendo il primato della politica (e conseguente necessità di impegno diretto dei cattolici), promuova una vivace e robusta società civile che favorisca e incrementi spazi di partecipazione e si prenda carico di quel “bene comune” che difficilmente il cittadino riconosce come regolato e promosso dalle istituzioni le quali, spesso, non riescono a conquistare e mantenere elevati livelli di credibilità.

         Va lasciato alle formazioni sociali tutto lo spazio necessario affinché possano al meglio produrre “beni sociali”: quei beni cioè che hanno un grande valore ma che non hanno un prezzo ed è per questo che, spesso, non sono considerati né dalle istituzioni né, tanto meno, dal mercato.

      Una società civile che, come si è più volte sottolineato nel corso delle precedenti Settimane sociali, non si sostituisce alla politica ma ne costituisce una forma privilegiata, rinnovata e coinvolgente.
         Naturalmente questi principi vanno declinati e incarnati nella situazione attuale ed in una società che   è sempre più polverizzata e tende ad organizzarsi in piccole realtà tese a dare risposte immediate ai tanti bisogni   od alle emergenze che, spesso, sono diverse da luogo a luogo e da momento a momento.      Sembra ormai necessario che le grandi strutture nazionali (anche quelle associative) mettano in campo una grande capacità di rinnovamento.

    Con l’equilibrio necessario a garantire, anzi a rafforzare, una complessiva “rappresentanza”, va fatto un grosso sforzo per fare crescere la significatività dei diversi carismi nelle comunità locali con la missione di alimentare e favorire momenti di aggregazione e spazi di condivisione che ritessano la maglia, la rete di una nuova quanto indispensabile coesione sociale.      Infatti, se la loro nascita era giustificata dall’adesione a “valori forti” ed alla loro promozione e testimonianza, ora sembrano avanzare nuove forme di aggregazione con una capacità di coinvolgimento basata sulla   risposta a bisogni specifici, locali e limitati.

    Pur con fatica e in mezzo a mille difficoltà occorre acquisire la capacità di interpretare e comprendere tali esigenze e dare risposte in termini di iniziativa e di azione “politica” rispetto alle spinte che salgono dal basso proprio valorizzando questo “basso”, dunque la realtà locale, con le risorse che offre e con le problematiche che rappresenta per ricondurle ad un principio più alto di bene comune.

      Sembra quindi consolidarsi uno scenario nel quale a fronte di un mondo assoggettato alla globalizzazione si manifesta, quasi fosse una reazione, un desiderio diffuso e crescente di riscoperta della propria identità e delle proprie radici.

      Pensiamo al futuro considerando le opportunità e i rischi che la mondializzazione apre e, nello stesso tempo, ricerchiamo quei valori e quelle energie che costruiscono la nostra fiducia e il nostro agire, fondano la nostra speranza e alimentano la capacità di contribuire, con le nostre specificità e peculiarità, allo sviluppo di tutti.
         Ricostruire, rinnovare, rialimentare l’impegno alle “solidarietà lunghe” nella comunità locale, dunque!          Non a caso già nel 1998 i Vescovi italiani indicavano tale percorso con il documento “Le Comunità cristiane educano al sociale e al politico”.   

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DEMOCRAZIA ECONOMICA E PARTECIPAZIONE


    Per quanto riguarda l’economia è prioritario e determinante il tema della democrazia economica (e partecipativa) troppo spesso messo in disparte.

          Un grande dibattito si è aperto e molte iniziative sono state prese per diffondere e favorire il principio della responsabilità sociale dell’impresa a partire dal 18 luglio 2001, data della pubblicazione del Libro verde della Commissione europea.
       Questa è sicuramente una buona cosa ma occorre fare il passo successivo e cioè rendersi conto che non c’è e non ci può essere responsabilità sociale senza partecipazione dei lavoratori.

      Nei numerosissimi dibattiti, interventi, documenti sulla responsabilità sociale, la “risorsa umana” è spesso citata (anche se molto meno che l’ambiente) ma relegata in uno spazio residuale.   Per MCL invece è “il tema”, è la questione di fondo, è principio base del nostro impegno perché uno dei punti chiave della Dottrina sociale ma anche perché autorevolmente previsto dal’art. 46 della Costituzione laddove si dice che “la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle imprese”.

       La partecipazione dei lavoratori all’impresa (comunità di persone secondo la Centesimus Annus) è da decenni argomento di riflessione e dibattito nel mondo politico e sindacale italiano.   Si tratta di una dinamica complessa che abbraccia molteplici questioni: dal riconoscimento ai lavoratori di una rete efficace di diritti di informazione e consultazione all’introduzione e regolamentazione di forme di rappresentanza dei lavoratori negli organi amministrativi e di controllo delle società, alla partecipazione azionaria dei dipendenti nelle società di capitale presso le quali sono occupati.   

    L’importanza e l’urgenza del tema sono ulteriormente cresciute da quando l’UE ha emanato specifiche direttive che i paesi membri debbono obbligatoriamente recepire nei loro ordinamenti.
    Esistono, in proposito, alcune proposte di legge in discussione in Parlamento che hanno fatto alcuni passi significativi in Commissione lavoro.   

    Dal momento che le proposte di legge vengono da diversi gruppi politici noi auspichiamo che si possa trovare un accordo per dare una spinta decisiva al loro cammino così come sarebbe auspicabile un “avviso comune” delle parti sociali.      La limitazione (pessima) posta dalla recente riforma del diritto societario   alla presenza dei rappresentanti dei lavoratori negli organismi di corporate governance fa perdere un nuovo e potente sostegno alla rilegittimazione etica e sociale del sistema imprenditoriale-finanziario italiano, scosso da ripetuti e clamorosi scandali.
   C’è la necessità di andare oltre questa fase anche per evitare che un numero sempre più alto di imprese abbandoni la dimensione “produttiva” che alimenta (e giustifica) la sua presenza, per inseguire una progressiva “finanziarizzazione” tesa a raggiungere esclusivamente il più alto rendimento del capitale investito.   
   
    Non possiamo accettare che, secondo una logica economicista, il capitale “umano” non sia il principale fattore in campo ma soltanto uno dei tanti e non certo il più importante.       A noi tutti tocca di non sprecare questa opportunità pur dovendo registrare che persistono, anche nel mondo cattolico, forti resistenze culturali all’introduzione di forme avanzate di coinvolgimento dei lavoratori nella vita e nella gestione delle imprese: resistenze che dimostrano un ritardo nella comprensione delle dinamiche evolutive delle relazioni industriali in Europa e che devono essere superate.    Il tutto in un quadro, lo ripetiamo ancora con forza, di coesione sociale: senza coesione e praticando il modello “antagonista” emergono i corporativismi ed i radicalismi che, la storia ci insegna,   hanno sempre portato a risultati negativi se non drammatici.

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IDENTITA’ IN RETE


    Conseguentemente alle linee indicate, l’obiettivo prioritario dovrebbe essere quello di superare la pur interessante stagione del dialogo all’interno del “mondo cattolico” per giungere ad un progetto comune su alcuni temi chiari e ben definiti, senza tentennamenti, equivoci, paure, soprattutto partendo dalla traduzione nei fatti di “valori forti”, da non annacquare nascondendosi dietro l’alibi del “dialogo con gli altri” ed attestandosi chiaramente su una linea di “presenza”.

      Come si è già detto, occorre la capacità di legare la spontaneità e la provvisorietà di realtà aggregative locali o di scopo alle realtà strutturate, in una situazione di polverizzazione del tessuto sociale che tende a far prevalere l’individualismo e la semplice soddisfazione dei propri desideri.      
   
    In una situazione variegata e non più riconducibile a una struttura piramidale, la “presenza” dei cattolici va strutturata attraverso una “rete”: immagine che richiama al vincolo, alla relazione, all’intreccio e proprio perché verrebbe meno una dimensione “gerarchica” ancor più determinante risulta chiarire i confini di quest’appartenenza, senza confusioni, riferendosi ad una precisa e definita identità che poggi e si alimenti alla Dottrina sociale ed al Magistero.

      Non dobbiamo avere paura di questa nostra “identità” perché è in forza di essa che possiamo aprirci al rapporto costruttivo con gli altri; infatti i grandi testimoni dell’incontro e del dialogo sono proprio persone che hanno fatto o fanno riferimento a certezze assolute: basterebbe citare, al riguardo, la figura e l’opera del Papa.
      Non sembri fuori luogo il richiamo che il Presidente della Camera dei Deputati ha fatto nel corso di una recente Assemblea del MCL a commento delle iniziative prese per affermare, in termini di prospettiva, le radici cristiane d’Europa e per salvaguardare e promuovere il carattere festivo della Domenica: “Al di là della nuova Costituzione, ogni discorso serio sull’Europa riunificata non potrà partire se non da quel nucleo di valori comuni che vedono nella dignità dell’uomo il suo centro di gravità.    E’ questa la ragione profonda della richiesta, più volte perorata dal Papa, di inserire nel preambolo della Costituzione europea un riferimento alle sue origini cristiane.    La laicità della sfera politica è patrimonio di tutti ed è, ovviamente, fuori discussione. Si tratta di qualcosa di più profondo: riconoscere la nostra identità, professando senza timori una verità che è fatta di inclusione e di apertura.    La Domenica è festa!   E’ festa perché è chiaro in noi il senso profondo di chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare.   Noi siamo questo, non qualcos’altro!      Nel momento in cui apriamo la nostra società all’inclusione della diversità, nel momento in cui ci predisponiamo con grande sensibilità verso gli altri al dialogo interreligioso e proclamiamo la dignità di tutte le religioni, dobbiamo avere però chiara la consapevolezza del patrimonio che ci è stato trasmesso, di quella che è la nostra identità.    Perché qui non si tratta di vincere o di perdere, ma se non vogliamo che la nostra società venga sommersa da un relativismo, da un indifferentismo, da una sorta di confusione generalizzata di identità e di linguaggio, noi dobbiamo proclamare laicamente, senza orgoglio o malinteso senso di fierezza, ma con la consapevolezza di quello che siamo , noi dobbiamo fortemente affermare le nostre radici e la nostra identità!”

    E’ su queste radici e su questa identità che va intrecciata una “rete” nella quale non ci possono essere rivendicazioni di primati e di “esclusive” o tendenze ad “assolutizzare” la propria esperienza: è questa la prospettiva a cui tendiamo certi che è ripartendo dal basso, dalle comunità locali che sarà possibile tornare al “noi”.

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   Non si tratta di un passo indietro come scrive mons. Giuseppe Betori nell’editoriale “Sorprese dal nostro laicato” su Avvenire del 15 agosto scorso “Al presente, la convergenza che sortisce dal comporsi delle diversità non appare di per sé meno capace di dire il mistero cristiano di fronte al mondo; anzi per certi versi ne può illustrare ancora meglio il volto di unità e di cattolicità.    L’ulteriore passo sta nel capire come dall’unità così ripensata possa concretamente generarsi da una parte il superamento della residuale “diaspora culturale” dei cattolici e dall’altra il dispiegamento dirimente ma fascinoso della vera antropologia”.

    Proprio dai seminari di studi che MCL ha attivato in preparazione alla “Settimana sociale” è giunto l’invito a superare un luogo comune ricorrente e tipico del modo di vedere e di comportarsi di molti e cioè che la fine dell’unità partitica dei cattolici porti anche al venire meno della loro unità politica.   
    Lo consideriamo un grave errore che potrà essere superato, anzi l’unità politica potrà rafforzarsi, se tutti si dedicheranno con coraggio ad accumulare quel “capitale civile” che si concretizza con l’affermarsi pieno della sussidiarietà, con l’avanzamento verso un sistema di “democrazia deliberativa” e attraverso quelle opere che hanno da sempre caratterizzato e concretizzato l’attenzione della Chiesa verso l’uomo in tutte le sue dimensioni.
Se non si attuerà tutto ciò che è in nostro potere per rimuovere l’attuale appiattimento sul presente, non sarà facile combattere gli esiti individualistici e la mancanza di prospettiva della cultura in cui viviamo.

STORIA E MATURITA’

Abbiamo detto della nostra volontà di attestarci sulla linea della “presenza”, dello “stare dentro la storia”, per usare un’espressione cara al nostro mondo e che ci ricollega al convegno ecclesiale di Palermo. A questo proposito e stimolati dall’accenno di mons. Betori alla “diaspora culturale” occorre chiarire che non consideriamo la storia come il succedersi di eventi a lato o paralleli all’esperienza cristiana; non è nemmeno (come tante volte è stata interpretata, anche recentemente a proposito di procreazione assistita) un percorso con il quale doversi riconciliare in nome di un presunto “ritardo” della cultura cattolica rispetto alla modernità.

    Essa è, piuttosto, il luogo necessario dello svolgimento dell’esperienza di Chiesa e della presenza dei cattolici.      Siamo inoltre ben consapevoli che lo sviluppo e la crescita di un interesse per la partecipazione alla vita civile, sociale e politica del proprio territorio o di qualsiasi realtà non costituisce una pre-condizione al cammino di crescita spirituale e di consapevolezza cristiana; tale interesse rappresenta, al contrario, l’effetto di una maturità spirituale ed umana da conquistare e da coltivare incessantemente.         

    Splende al riguardo l’esempio di Alcide De Gasperi, alla cui memoria ci inchiniamo a 50 anni dalla morte, a cui dobbiamo la possibilità di poter operare ancora oggi in una democrazia che ci ha conquistato e offerto in dote.          A noi il compito di salvaguardarla, difenderla, promuoverla, per il bene di tutti.

         Un fondamentale contributo lo potranno offrire le nuove generazioni alle quali il S.Padre nella Novo Millennio Ineunte riconosce quel “talento che il Signore ci ha messo nelle mani perché lo facciamo fruttificare”.



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